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2010, un anno per ricominciare

 
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Eichengreen: «Rischiamo di finire come il Giappone»

di Alessandro Merli

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4 dicembre 2009
Barry Eichengreen (Afp)

Il 2010? Meglio che la politica economica se lo dimentichi. Altro che parlare di uscite dalle misure di stimolo che nell'ultimo anno e mezzo hanno aiutato faticosamente l'economia mondiale a uscire dalla più grave recessione degli ultimi settant'anni. Conviene aspettare il 2011, e vedere allora, se i dati lo consentiranno, di mettere in atto le "strategie d'uscita" di cui oggi si parla tanto.
Barry Eichengreen, professore di economia e di scienze politiche all'università di California a Berkeley, ha dalla sua il vantaggio di guardare lo scenario mondiale in uno prospettiva storica (è uno dei più celebrati studiosi della Grande Depressione, interesse che condivide con il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke) e, a differenza di molti suoi connazionali, evita di concentrare l'obiettivo solo sugli Stati Uniti: il suo ultimo libro è sulla storia economica dell'Europa dal secondo dopoguerra e le sue analisi più recenti riguardano l'Asia, e in particolare la Cina.

Professor Eichengreen, Lei è uno storico della Grande Depressione. Per qualche tempo si è temuto che la crisi attuale potesse aggravarsi fino al punto di diventarne una replica, pericolo che ora sembra scongiurato.
Non ho mai creduto che quella della Grande Depressione fosse un'analogia calzante. Si tratta di un episodio in cui le maggiori economie, come gli Usa e la Germania, accusarono una disoccupazione al 20% e oltre. Oggi l'unica economia avanzata che raggiunge queste punte è la Spagna. Sono invece sempre più convinto che l'attuale fase possa avere molto in comune con gli anni 90 in Giappone, cioè un lungo periodo di crescita stagnante. Il vero rischio è quello di una riporesa lenta. Le politiche economiche hanno avuto successo nell'evitare una calamità, ma non quello della debolezza della ripresa.

C'è però tuttora chi ritiene che l'anno che viene possa presentare un nuovo peggioramento, quello che viene definito un "double dip", una doppia caduta della crescita.
Nessun può predire ora con certezza che avremo una nuova contrazione dell'economia. Quello che sappiamo con quasi assoluta certezza è che la disoccupazione non scenderà negli Stati Uniti dagli attuali alti livelli per tutto il 2010 e nella maggior parte dei paesi europei probabilmente continuerà a crescere l'anno prossimo e in molti casi arriverà in doppia cifra. Il vero pericolo di questa alta disoccupazione sono le sue spiacevoli implicazioni in termini di pressioni protezioniste e di risposte populiste, oltre all'incapacità dei governi di fare le scelte giuste. Penso, negli Usa, alla necessità di affrontare il deficit federale, problema che per ora non è grave, ma lo sarà sempre di più, aumentando il rapporto debito pubblico/prodotto interno lordo. E questo non si può abbassare senza crescita economica.

Per questo, i maggiori paesi parlano di strategia d'uscita, sia dalla politica monetaria a tassi zero o quasi, sia dagli stimoli fiscali. E qualcuno vorrebbe che fosse messa in atto fin dall'inizio del 2010.
Una cosa è parlare di strategie d'uscita, una cosa è l'uscita. Io credo che la politica economica abbia perso l'occasione di essere più aggressiva nel 2008 e questo oggi limita le opzioni a disposizione. Negli Stati Uniti, il modo in cui abbiamo scelto di affrontare la crisi, attraverso gli aiuti del programma Tarp e i salvataggi del sistema finanziario, ha avvelenato il dibattito politico. Tanto che se anche il governo oggi volesse fare le cose giuste, la gente non si fiderebbe. A mio avviso, comunque, ci si dovrebbe impegnare pubblicamente a non alzare i tassi d'interesse, nè le tasse, per tutto il 2010. Aspettare il 2011 e vedere i dati per valutare se sia il caso allora di mettere in atto restrizioni di politica economica. Al tempo stesso però bisognerebbe comunicare ai mercati un piano credibile per riassorbire l'esplosione del bilancio della Fed e il problema fiscale. Naturalmente, più si aspetta e più è importante un piano credibile per il medio termine.

Il G-20 ha però promesso, nelle sue ultime riunioni, strategie d'uscita, possibilmente coordinate.
Spero proprio che le promesse del G-20 siano vuote. Nel 2010 sarebbe prematuro rimuovere gli stimoli, pena un ulteriore indebolimento della ripresa. Capisco che sulle due sponde dell'Atlantico ci siano sensibilità diverse e che gli europei vorrebbero muoversi prima. Credo che l'importante sia rassicurare i mercati che certe misure verrano prese, ma non sarebbe realistico, e probabilmente dannoso, farlo nel prossimo anno. Dobbiamo prima esser sicuri che la crescita si sia consolidata.

Molti pensano che a questo fine un ruolo chiave possa giocarlo la Cina. Lei è appena rientrato da Pechino, dove ha incontrato le autorità locali. Ci sono stati anche il presidente Barack Obama e una delegazione europea, a far pressione soprattutto per la rivalutazione del cambio.
Ho avuto l'impressione nei cinesi di un nuovo senso di fiducia in se stessi e anche di voglia di far sentire la propria voce nel consesso internazionale. I cinesi sono perfettamente consapevoli di cosa devono fare e non hanno bisogno che Obama o chiunque altro vada a dirglielo. E sanno anche che quello che fanno è importante oggi per il resto del mondo. La loro strategia al momento è di aspettare la ripresa mondiale per lasciare rivalutare la moneta, perché il loro export è tuttora del 20% sotto i livelli precrisi. Ma capiscono benissimo la necessità di un aggiustamento del cambio.

  CONTINUA ...»

4 dicembre 2009
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